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L'italia fa passi indietro con brunetta

La pubblica amministrazione fa passi indietro con Brunetta

Ilaria di Giuseppe
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L'italia fa passi indietro con brunetta

La pubblica amministrazione fa passi indietro con Brunetta

Ottobre 14 •
Lettura in 3 min

Mentre il resto del mondo implementa il remote working, l’Italia fa di tutto per eliminarlo, perché?

L’Italia è un Paese restio al cambiamento e non è un luogo comune. Il 24 settembre il presidente del Consiglio Mario Draghi ha firmato un Dpcm che prevede il ritorno alla presenza dei lavori delle pubbliche amministrazioni come modalità ordinaria. Su questa scia, il Ministro della pubblica amministrazione Renato Brunetta ha predisposto un decreto per il superamento dell’utilizzo del remote working a partire dal 15 ottobre. Il remote working viene così relegato ad eccezione, da concedere solo seguendo le otto “condizionalità” citate nel decreto.

Eppure, il remote working è una modalità lavorativa sempre più diffusa nel mondo e richiesta dai dipendenti, che, una volta provato, faticano a tornare in ufficio secondo il classico orario 9-17. La qualità della vita e la produttività sono migliorate e i lavoratori risparmiano tempo, energia ed economie negli spostamenti quotidiani. I dati parlano chiaro e Brunetta sembra non tenerli in considerazione.

I dati

La famosa agenzia inglese Hays ha pubblicato un rapporto nel quale evidenzia la poca probabilità di un ritorno alla formula ordinaria, caratterizzata dalla fascia oraria 9-17 e dalla presenza in ufficio. Lo studio nasce con l’obiettivo di raccogliere informazioni su come i diversi gruppi di età percepiscono il futuro del lavoro e quali condizioni si aspettano.

Sulla stessa scia una recente indagine italiana della Cisl dimostra che il 58% dei lavoratori si dice soddisfatto del remote working e solo il 3% sembra nostalgico verso modalità più tradizionali. La soddisfazione si riflette anche sulla produttività del lavoratore: il World Economic Forum ha calcolato un incremento della produttività da remoto del 4,6 %.

Minsait, società di tecnologia e consulenza di Idra, ha condotto una ricerca tra i suoi lavoratori in Italia, da cui emerge che il 72 % ha visto un aumento della produttività grazie al remote working e per il 59 % è migliorata la qualità della vita, grazie ad una maggiore autonomia e possibilità di conciliare la vita privata con le attività lavorative come si desidera.

Il caso della Finlandia

Se Brunetta pare non interessato all’impatto del remote working sulla nostra vita, tutt’altra posizione è quella della Finlandia, in particolare della città Lahti. In collaborazione con il LAB Institute of Design and Fine Arts, l’agenzia creativa TBWA\Helsinki e la società di design Upwood, Lahti ha installato delle postazioni di lavoro nella foresta, alcune di queste con vista sul lago Veijarvi.

I lavoratori possono lasciare il loro mezzo di trasporto (bici, macchina) lungo il sentiero e dirigersi a piedi verso la postazione che vogliono, immersi nella natura. Nessun costo aggiuntivo per un servizio così innovativo. Ogni postazione è attrezzata con una sorta di scrivania, per poggiare il computer e tutta l’attrezzatura necessaria.

Remote working: rivoluzione lenta in Italia

È un caso estremo sì, che però aiuta a capire concretamente come l’Italia abbia riluttanze nel rivoluzionare vecchie modalità lavorative ed accogliere paradigmi nuovi. Molti imprenditori di piccole aziende costringono i lavoratori a tornare in ufficio, ma probabilmente il settore più paralizzato è proprio quello delle pubbliche amministrazioni e Brunetta sembra assecondare questa tendenza.

Per avviare un cambio di rotta è necessaria una trasformazione culturale, che forse fa paura: remote working non è il telelavoro, perché implica una nuova filosofia lavorativa, che scardini totalmente concezioni a cui siamo abituati. Remote working non significa trovare nuove strategie per controllare che il lavoratore stia effettuando le sue mansioni, ma significa responsabilizzare e lasciare libertà di schedulare autonomamente il tempo e gli obiettivi.

Ma non solo. Remote working significa anche implementare nuovi strumenti digitali, essere disposti a investire importanti cifre su un’organizzazione innovativa, al passo con i tempi e su una formazione mirata dei dipendenti.

L’Italia ha scelto la strada più facile, una strada che tiene inchiodati a quegli schemi ormai superati, mentre il resto del mondo corre velocemente verso un nuovo futuro.

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