È il trend del momento, licenziarsi per un lavoro migliore. Ma cosa ci spinge a prendere una decisione così drastica? E di cosa abbiamo davvero bisogno?
Licenziarsi non è una scelta facile, ma si sta rivelando necessaria per tante persone. Gli ultimi due anni, infatti, hanno messo in luce nuove esigenze, portandoci a rivalutare la nostra vita lavorativa.
Oggi il benessere psicofisico è una priorità. Per alcuni era impensabile lavorare da casa e risparmiare quel tempo impiegato per recarsi in ufficio, fermi nel traffico mattutino.
Il remote working ha modificato il modo di lavorare, scardinando schemi tradizionali e aprendo opportunità diverse.
Un’azienda che non accetta il nuovo paradigma risulta antica, non in linea con le nuove richieste ed è destinata, quindi, ad ospitare dipendenti infelici.
Diverse ricerche hanno dimostrato che il remote working incentiva la produttività, rendendo le persone più entusiaste e attive. Allo stesso tempo, però, è una formula che ha aperto gli occhi a molti dipendenti, spronandoli a rivendicare istanze spesso oscurate.
Le persone non sono più disposte a “vivere per il lavoro”, sono alla ricerca di una mansione che li valorizzi e soddisfi, ma che dia loro anche la possibilità di vivere più pienamente il tempo libero e gli affetti.
Non si torna indietro
La pandemia ha talmente cambiato la nostra percezione del lavoro, che oggi, pur di non ripiombare nella situazione precedente, siamo pronti a licenziarci.
È il fenomeno delle dimissioni di massa: persone che non vogliono più tornare indietro e preferiscono dirigersi verso aziende più flessibili, attente al benessere mentale e fisico dei dipendenti.
Il professore di Management alla Mays Business School del Texas, Anthony Klotz ha coniato il termine “Great Resignation” per indicare questa tendenza dilagante nel mondo e che spinge a dimettersi volontariamente, fuggendo dai ritmi frenetici e stressanti dell’ufficio.
I dati
Secondo un’analisi di Microsoft, il Work Trend Index 2021, addirittura il 40% della forza lavoro globale starebbe pensando alle dimissioni entro l’anno e il 46 % è probabile che si trasferisca altrove, perché può lavorare da remoto.
Il report indica 7 fattori che vanno dal crescente bisogno di flessibilità alla depressione che sta colpendo la generazione Z.
Tra questi sette:
- aumento di lavoro: lavorare da remoto può significare lavorare di più. Il tempo passato nelle riunioni online è aumentato. La durata media di un meeting è passata da 35 a 45 minuti e ogni persona manda in media il 45 % in più di messaggi via chat a settimana. Il bombardamento di notifiche contribuisce a far sentire le persone in trappola. Per questi motivi, i lavoratori iniziano a porsi delle domande e sono sempre più convinti che le aziende chiedano troppo da loro. La parola chiave, infatti, è “work life balance”, il perfetto equilibrio tra vita lavorativa e tempo libero.
- capi che non comprendono il cambiamento: si parla nel report di “pigrizia manageriale” per far riferimento a quelle aziende che pensano si possa tornare indietro, imponendo vecchie regole. Non stupisce, basti pensare alla pubblica amministrazione italiana che ha ripristinato “la normalità” appena possibile.
- malessere psicofisico: nel report si dice che il 17% delle persone nell’ultimo anno ha pianto di fronte a un collega, il 31% si vergogna di meno di mostrare la propria vita sul lavoro e di parlare apertamente dei problemi. È stata riscoperta una certa autenticità che sembra diventare motore di produttività e di benessere collettivo. Condividendo i disagi della vita, questi pesano meno.
In Italia la situazione è in linea con il resto del mondo. Secondo i dati del Ministero del Lavoro, tra aprile e giugno si registrano 484mila dimissioni (292mila da parte di uomini e 191mila di donne), su un totale di 2,5 milioni di contratti cessati.
L’incremento nel numero di dimissioni rispetto al trimestre precedente sarebbe del 37%. La crescita è addirittura dell’85% se si fa il paragone con il secondo trimestre del 2020 e anche in un confronto con il 2019 il numero di dimissioni risulta più alto del 10%.
Alla ricerca del benessere
I motivi che spingono ad una scelta come il licenziamento sono tanti, ma tutti riconducibili al desiderio di maggior benessere e una diversa qualità della vita. Abbiamo scoperto nuovi lati di noi stessi, ridimensionato le nostre priorità e ridisegnato gli obiettivi lavorativi.
Flessibilità, libertà, autonomia, equilibrio.
Qualcosa è cambiato per sempre. E le aziende, nonostante i timori, per rimanere competitive devono cavalcare i cambiamenti inesorabili del nuovo mondo, offrendo opportunità e aprendosi a formule diverse, personalizzate.
Non si può far finta di nulla e imporre il vecchio concetto di “normalità”. Una normalità che ormai è soppiantata dalla ”Yolo economy”, dall’acronimo di ”You only live once” (”vivi una sola volta”), ovvero l’economia di chi ha captato le nuove esigenze e inizia concretamente a mettere al primo posto la qualità della vita.