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Remote working, paure aziende

Remote working, le paure più grandi delle aziende

Ilaria di Giuseppe
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Remote working, paure aziende

Remote working, le paure più grandi delle aziende

Novembre 3 •
Lettura in 3 min

Spesso le aziende non sono pronte ad accogliere i cambiamenti e questo vale anche per il remote working. Alcune paure frenano i capi a concedere una formula più flessibile

La digitalizzazione ha modificato la nostra quotidianità e il nostro modo di lavorare. Il remote working, infatti, è una pratica conosciuta da molti anni, ma che ultimamente si è diffusa sempre di più. Lavorare fuori dalle quattro mura dell’ufficio è possibile grazie ai nuovi strumenti tecnologici e di telecomunicazione, che permettono di collegarci e renderci operativi da qualsiasi parte del mondo.

Questo cambiamento rompe con schemi tradizionali, per cui il lavoro esige la presenza in ufficio e un orario rigido da rispettare. Un capo che abbraccia la vecchia concezione è abituato a controllare il lavoratore, a limitarlo nella libertà e a scandire per lui le giuste tempistiche.

Per restare al passo con i tempi, però, è necessario partire da un nuovo assunto: meno controllo, maggiore responsabilità. Il datore di lavoro deve lasciare al lavoratore la possibilità di assumersi nuove responsabilità, metterlo alla prova assegnandogli degli obiettivi. L’importante, infatti, è organizzare il tempo in maniera nuova e lavorare per micro obiettivi. 

Great Resignation

Un’azienda che non accetta il nuovo paradigma è antica e soprattutto è destinata a rendere i suoi dipendenti infelici. Diverse ricerche hanno dimostrato che il remote working incentiva la produttività, rendendo le persone più entusiaste e attive.

Non solo. Si ha la possibilità di coniugare il tempo libero e il lavoro in maniera nuova. Un’indagine di Airbnb, condotta su un campione di 2.000 dipendenti e basata sulle ricerche di prenotazione sul portale, ad esempio, mostra una fotografia chiara: sempre più persone vogliono lavorare stando in vacanza e lontano da casa.

In questo senso, in Italia si assiste sempre più al fenomeno delle dimissioni di massa: persone che, una volta sperimentato il remote working, non vogliono più tornare indietro.

È il professore di Management alla Mays Business School del Texas, Anthony Klotz, a coniare il termine “Great Resignation”, per indicare la tendenza che sta dilagando nel mondo e che porta a dimettersi volontariamente, pur di non tornare ai ritmi frenetici e stressanti dell’ufficio. Secondo un’analisi di Microsoft, addirittura il 40% della forza lavoro globale starebbe pensando alle dimissioni entro l’anno.

Le 5 C

Ma allora quali sono le paure che bloccano le aziende ad accettare il remote working, rischiando addirittura le dimissioni di buona parte dei dipendenti?

In una ricerca molto dettagliata, l’Harvard Business Review riporta 5 parole chiave: controllo, cultura, collaborazione, contributo e connessione.

  • 1. Controllo: paura di non poter controllare il lavoratore. Se non si vede, spesso non si crede. Il capo deve imparare a fidarsi dei suoi collaboratori, provando a responsabilizzarli maggiormente e lasciando loro libertà di organizzazione.
  • 2. Cultura: paura che si limiti la cultura aziendale. Per molte organizzazioni lo scambio di idee tra colleghi è vitale. Pensiamo ad un’agenzia di comunicazione, dove la creatività è la davvero cifra della sua unicità. Spesso il contatto diretto con gli altri, quindi, è importante affinché si creino dei progetti funzionali. Tuttavia, ci sono molti strumenti digitali che ottimizzano il brainstorming anche a distanza con videoconferenze e lavagna multimediali.
  • 3. Collaborazione: paura che diminuisca la collaborazione nel team. La collaborazione è l’ingrediente vincente di ogni azienda. Con il remote working può venir meno quella sinergia che si crea nel rapporto interpersonale. Ma di nuovo, sono gli strumenti digitali a venirci incontro per facilitare l’organizzazione dei task e del tempo, tra questi possiamo citare ClickUp.
  • 4. Contributo: paura di non valutare in modo corretto il profitto. Questa problematica si collega alla perdita di controllo sul lavoratore. Non avendo più lo sguardo puntato sul suo operato, il capo non riesce a valutare se effettivamente il dipendente stia lavorando. La domanda che può sorgere spontanea è “ Come faccio a capire se porta davvero profitto all’azienda?”. Il punto è che il profitto non deve essere calcolato in base alle ore di lavoro, ma agli obiettivi raggiunti.
  • 5. Connessione: paura dell’isolamento. L’isolamento può portare alla perdita di entusiasmo e motivazione nelle persone. E questo è un dato di fatto. Tuttavia, esistono tool e software che consentono una grande interazione tra i dipendenti attraverso videochiamate interattive e progetti da realizzare insieme. Ma non solo. Per rinsaldare il gruppo, infatti, si possono organizzare delle attività di team building, ovvero delle giornate all’aria aperta dove si sperimenta qualcosa di nuovo e si condivide un’esperienza.

Il modello ibrido

Probabilmente la migliore soluzione è la formula ibrida, ovvero un modello lavorativo che contempli sia l’ufficio sia il remote working, a giorni alterni. Questa consente di mantenere i vantaggi del lavoro a distanza e di non rinunciare a quella sinergia che si crea vis à vis.

Il lavoro ibrido rappresenta, insomma, davvero una scelta intelligente da parte delle aziende. Il futuro lavorativo ormai si è evoluto, imboccando una strada irreversibile e mostrando una versatilità mai vista prima d’ora.

Il cambiamento è faticoso per gli investimenti necessari ma anche perché comporta l’abbandono di vecchi schemi, fondati sulla presenza e sul numero di ore lavorate. Tuttavia, esso rappresenta una grande opportunità per valorizzare la qualità della vita del singolo e aprire la strada a una felicità inedita.

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