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remote working e divario di genere

Remote working e divario di genere

Ilaria di Giuseppe
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remote working e divario di genere

Remote working e divario di genere

Dicembre 15 •
Lettura in 3 min

Come si è evoluta la condizione lavorativa delle donne negli ultimi anni? Il remote working può rappresentare una svolta? Ecco un breve ma esaustivo quadro

Gli ultimi dati Istat evidenziano che oltre il 55% dei lavori persi nel 2020 appartiene a donne. La pandemia Covid-19 sembra, infatti, aver acuito la condizione del lavoro femminile. I settori in cui erano maggiormente impiegate, come quello del turismo o della ristorazione, sono stati i più colpiti dalle misure restrittive.

Le donne vivono da sempre la difficoltà di far carriera, perché il ruolo di cura in famiglia le costringe a rinunciare a mansioni full time e retaggi culturali le relegano a ruoli subalterni. La scalata sociale e lavorativa è piena di ostacoli qualunque età si abbia ed è difficile imporsi.

Tuttavia, il remote working sembra aver generato un contesto più equo, livellando le differenze di genere. Formula lavorativa esistente da anni, il remote working ha preso piede in Italia durante la pandemia e sta diventando oggi la modalità più richiesta, con innumerevoli vantaggi.

La ricerca

È quello che emerge da un’analisi presentata alla Commissione XI del lavoro della Camera dei deputati, da parte di Variazioni, società di consulenza specializzata in innovazione organizzativa e smart working, convocata in merito all’adozione della Direttiva Europea per l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne.

La messa a regime del lavoro agile favorirebbe una maggiore condivisione del lavoro di cura tra donne e uomini e funzionerebbe da equalizzatore retributivo, dato che il “tempo” non è più fattore chiave e per determinare  lo stipendio.

Il remote working diventa occasione per promuovere una cultura meritocratica, troppe volte oscurata nel nostro sistema lavorativo.

Lo studio, che ha coinvolto 50mila lavoratori, lavoratrici e manager di aziende pubbliche e private, demolisce, quindi, alcuni stereotipi. La permanenza in ufficio, ad esempio, fattore spesso ritenuto fondamentale per la carriera, non è più considerato determinante. Oggi contano i risultati e lo sviluppo delle competenze.

Il tempo e la qualità della vita

Analizzati i dati, possiamo affermare che la parola chiave è tempo, strettamente legata al concetto di “work life balance”. Con l’adozione del remote working, la qualità della vita per l’81% delle intervistate è nettamente migliorata.

Il tempo da poter dedicare alla famiglia è aumentato per donne e uomini: questo significa una più equa distribuzione delle mansioni domestiche, non più affidate esclusivamente alla donna.

Sgravate dagli oneri domestici, le donne hanno trovato più tempo da dedicare a loro stesse e alle loro passioni. Di conseguenza, la ricerca ha evidenziato una maggiore produttività lavorativa e serenità nell’organizzazione degli obiettivi giornalieri e a lunga scadenza.

Il remote working sta gradualmente modificando la nostra percezione del lavoro. Tradizionalmente il lavoro funziona se la persona si impegna tante ore nel suo ufficio: più tempo sei a lavoro, più produci. Oggi sappiamo che questa mentalità è obsoleta. E le aziende che si ostinano a sostenerla rischiano di non essere al passo con i tempi.

Da più parti del mondo (Portogallo, Spagna ad esempio) vengono esempi di modalità lavorative diverse, dove non conta il tempo ma l’obiettivo.

La nuova organizzazione permette di conciliare vita e lavoro, come non era mai successo prima con incredibili vantaggi.

Le donne intervistate dichiarano in misura maggiore di aver esigenze di conciliazione (il 64% delle donne su un campione misto di 37 mila intervistati). Mentre è inferiore la percentuale di uomini a dichiarare di aver esigenze di work life balance: meno di 1 su 2. Per entrambi, la principale esigenza di conciliazione è correlata alla presenza di figli minori di 14 anni in famiglia.

La fascia di età che ha maggiormente ravvisato un miglioramento della qualità della propria vita, infatti, è quella che va tra i 36 e i 45 anni (il 35 % del campione), persone che generalmente, infatti, hanno figli minori e carichi di cura da gestire.

Gap tecnologico

Se gli uomini hanno compreso con maggiore dedizione oneri delle responsabilità domestiche, l’impatto sulle competenze acquisite è stato ravvisato maggiormente dalle donne: con un punteggio di 7.7 donne contro quello di 7 uomini emerge che il remote working ha offerto la possibilità di migliorare le competenze digitali.

In un paese con un forte digital divide, il remote working si sta dimostrando anche occasione per ridurre il gap di genere rispetto alle competenze digitali e tecnologiche.

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